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Aggiornato Mercoledì 12-Apr-2023

 

Il silenzio è una mano che afferra e stritola – che spazza via le persone, i pensieri, i sentimenti, le azioni. Il silenzio cancella la bellezza e l’orrore – in lui non ci sono differenze, ragioni, verità. Tutto è inutile, nulla esiste.

Ho ascoltato le tue parole e non ho sentito niente. Ti ho guardato agitarti, sbattere i pugni, fare la voce grossa, ammiccare e schernire, aprire la tua coda di pavone, esibirla con protervia e soperchieria – bel esemplare d’uomo sei: uguale a chi disprezzi, imitazione raccogliticcia dei tuoi padroni, bassa manovalanza al servizio delle tue e loro ambizioni, del tuo e loro bisogno di potere e successo.

Hai raccolto le carte, contratto le labbra, cercato nello sguardo degli altri uno specchio in cui poterti ammirare, cercandovi l’approvazione che brami, ti aspetti, poi sei venuto verso di me, prima fiero, poi dubbioso, infine irritato: «Beh, cos’è quella faccia? Sembra che tu abbia visto un fantasma.» Infatti, avrei voluto rispondere, ma mi sono mancate le parole. In ogni modo non hai aspettato che le trovassi – intorno a noi una selva di sorrisi compiacenti ti stava accogliendo, rendendo omaggio, e subito ne hai approfittato. Dopo un’ora eri sempre lì, a stringere mani, promettere soluzioni e interessamenti, attribuire la colpa della tua inconcludenza al dissenso e alle divisioni interne. Sono uscito dalla sala, confuso. In effetti, non hai detto o fatto nulla di diverso dal solito, semplicemente, all’improvviso e senza che ne capissi il motivo, non ti conoscevo più, o meglio, ero io a non riconoscermi più in te.

Al ristorante nessuno ha pensato di farci sedere accanto – d’altronde, sei tu che hai deciso di nascondere la nostra relazione per non ridurre le tue opportunità di azione e seduzione - politica. Potevo capirlo – nell’ambiente molti non ti avrebbero trovato altrettanto affascinante e io stesso, quattro anni fa, non ti avrei avvicinato se avessi saputo che eri impegnato. Quando lo scoprii ero già innamorato, tu avevi già predisposto il licenziamento del tuo segretario/amante e lui si era già rassegnato a perdere tutto.

A cena ho continuato a osservarti, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a darti un senso. Non avevi senso tu e non lo avevano i tuoi ragionamenti – eravate indistinto rumore, l’altra faccia del silenzio. Naturalmente so che il più delle volte parli per il gusto di ascoltare la tua voce, senza dire nulla, ma ho sempre pensato che si trattasse di una specie di deformazione professionale – addirittura un talento. Ieri, stando all’altro capo della tavola, guardandoti mentre t’ingozzavi senza mai interrompere l’effluvio di parole, avrei voluto dirti: «Zitto e mangia – per una volta!»

Tornando a casa, ti ho chiesto per quale ottusa ragione ti ostini a sostenere che l’approvazione della proposta di legge sulle convivenze è necessaria, che è il male minore, che la potrebbero addirittura migliorare. Certo, ma può essere vero anche il contrario - se si è scatenato questo putiferio, se è in discussione questa schifezza e non altro, qualcosa deve pur voler dire. Ti sei infuriato, hai cominciato a inveire contro quelli che remano contro, proprio come me. «Ma tu da che parte stai? Dalla mia o dalla loro?» - mi hai chiesto con acredine. Avrei voluto risponderti che sto dalla parte di chi agisce nei miei interessi, non contro – tuttavia non ho fiatato. Soltanto qualche ora prima avrei affermato che dopo tanti anni meritavi di segnare un punticino a tuo favore, meritavi di portare a casa almeno una vittoria, seppur misera e probabilmente dannosa. Ora, ascoltando le tue lamentele, non riuscivo a fare a meno di pensare che t’importava solo di te stesso, di rimanere tra quelli che contano, credono o fingono di contare. Ho capito che sei spaventato. Hai puntato tutto sul riconoscimento delle coppie di fatto perché credevi che sarebbe stato relativamente semplice servirsene. Per acquisire visibilità, concentrare su te stesso consensi facili e scontati, hai scelto l’obiettivo apparentemente più facile da centrare, in realtà si è rivelato il più inutile, ostico e autolesionista. Quando sei stato messo da parte e altri, al posto tuo, hanno partorito l’obbrobrio che adesso sei costretto a difendere per salvarti reputazione e carriera, hai capito di avere i minuti contati. Approvato o meno che sia, questo provvedimento chiude la porta in faccia al diritto e a te. Hai fatto un disastro. Perderai credibilità, rappresentatività e legittimità politica – perderai i tuoi privilegi: il tuo reddito milionario, il tuo appartamento in centro, i viaggi, la sartoria, i ristoranti, gli inviti alle feste, a tenere conferenze, rilasciare dichiarazioni e interviste, ad andare in tivù e tutto il resto. Spenti i riflettori, cosa ne sarà e cosa rimarrà di te?

Abbiamo discusso, o meglio, tu mi hai ricoperto di accuse e insulti e io non ho potuto far altro che incassarli.

Così, stamani ho finto di dormire. Eri nervoso, spazientito – lo sei sempre quando non mi alzo a prepararti la colazione, quando non ti presto attenzione, non mi prendo cura di te. Neanche ti ha sfiorato l’idea che potessi avere qualche ragione di risentimento. Ti ho sentito sbuffare, aprire e chiudere i cassetti con forza. Hai persino urtato contro qualcosa facendo un baccano infernale. Senza pubblico, ammiratori devoti e sottomessi, tu perdi la misura della tua casa, della tua vita e di te stesso. Malgrado tutto, ho faticato a non venirti in soccorso, ho faticato a rinunciare al piacere di saperti soddisfatto dei miei servigi. Ognuno ha le sue debolezze – le mie mi hanno portato a credere di esserti indispensabile, di essere il favorito, fra tutti il più amato e amabile. Una sola cosa, forse, abbiamo in comune: la presunzione.

Ho aspettato, dunque, che tu uscissi, poi mi sono alzato e ho fatto le valige.

So cosa penserai questa sera, so cosa hai pensato oggi ogni volta che mi hai chiamato senza ottenere risposta: ingrato! Se solo la smettessi di crederti il centro dell’universo, capiresti che non tutte le persone sono naturalmente, irresistibilmente attratte da te, non tutte ti condividono, non tutte sono interessate alle tue farneticazioni, alla tua fortuna, ai vantaggi personali che possono ricavarne, non tutte, venuta meno, ti lascerebbero solo - non per così poco.

Ieri ho semplicemente capito che tu non sei Adriano e io non sono Antinoo. Ho capito che il tuo impero è di carta e di carta sono i tuoi sudditi. Di vento sono fatti i tuoi pensieri, d’aria le tue parole. Tu afferri e stritoli, spazzi via per convenienza, diletto, capriccio. Svilisci e neghi la realtà, la storia, senza avere la forza, l’estro e la capacità di riscriverla. Sei il silenzio, o indistinto rumore. Sei nulla e io non posso, non voglio esserti complice.

Tutto qua.

 

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