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Aggiornato Sabato 04-Feb-2023

 

Elena aveva finalmente trovato lavoro in una grande azienda – impiegata presso il reparto logistico, a tempo determinato, tre mesi eventualmente rinnovabili. Non era il massimo, ma sempre meglio di nulla. L’agenzia interinale alla quale si era rivolta e per la quale in effetti avrebbe lavorato dopo la firma del contratto, le aveva assicurato che l’azienda cercava personale da inserire stabilmente nell’organico, appartenente alle categorie protette solo perché costretta dalla normativa, perciò avrebbe dato la preferenza ai candidati con minore disabilità, di ottima famiglia, laureati e con referenziate esperienze lavorative pregresse. Se avesse superato la selezione, trascorsi i primi tre mesi di prova poteva essere certa dell’assunzione. Ai colloqui aveva dovuto dimostrare di saper utilizzare il computer, di conoscere decentemente l’inglese, di cavarsela con l’italiano, di essere ben educata e con spiccate capacità relazionali. Sin da subito aveva spiegato che sebbene l’invalidità non fosse evidente, le sue condizioni di salute non le permettevano di compiere sforzi fisici, specie se prolungati. Il capo del personale l’aveva rassicurata: l’attendeva un facile, comodo lavoro d’ufficio.

 

 

Elena timbrò con cinque minuti d’anticipo. Il capo reparto l’accompagnò in uno stanzone enorme pieno di tavoloni e scrivanie, queste ultime già assegnate e personalizzate da chi le occupava. La responsabile dell’ufficio le disse di trovarsi un posto qualsiasi tra quelli liberi, quindi le spiegò che il lavoro consisteva nel controllare qualità e quantità dei manufatti provenienti dagli altri uffici e nell’applicarvi minuscole targhette identificative. Elena si chiese a cosa serviva una laurea, saper utilizzare il computer, la conoscenza dell’inglese e dell’italiano, l’educazione e le spiccate capacità relazionali se poi doveva svolgere mansioni manuali, da operaia semplice. Si sedette. Le colleghe erano carine, ridanciane e ciarliere. Pensava che almeno quelle che aveva di fronte le avrebbero chiesto qualcosa, invece non si curarono minimamente della sua presenza e anche quando la responsabile dell’ufficio la presentò incaricandole di seguirne il lavoro, continuarono a ignorarla cominciando subito a vociare sguaiatamente – più che in un ufficio, sembrava di essere in un pollaio.

«Ma Beppe Signori è gay?»
«Pare di sì.»
«Ma va, è sposato!»
«Allora se è finocchio niente partita oggi!»
«Ma figurati, finocchio, è come dire che Cicciolina è lesbica!»
«Quante storie. Che ve ne frega, aprite la mente!»
«Lo sapete che tutti i militari con gradi alti hanno figli gay?»
«Questa poi...»
«Chi sa andare sia con gli uomini che con le donne ha una marcia in più – a me fa un po’ schifo, però penso che sia più elevato mentalmente.»
«Secondo me uno che va con gli uomini e con le donne è solo uno viziato a cui piace trasgredire e basta.»
«Anche secondo me, anzi, a me fa schifo – però se ci pensi, mentalmente è superiore. Lo sapete che dire “frocio” è reato?»
«Ma che palle, non si può più dire niente. Vabbé, diremo “finocchio” - al limite potremo sempre sostenere di riferirci all’ortaggio!»
«Ho capito bene? Se dici frocio a uno che non lo è rischi la galera?»
«Se è per quello anche se lo è.»
«Ma dai, allora non posso più chiamarvi nemmeno troie o puttane!»
«E poi avete visto il servizio al TG con tutti quegli uomini che si baciavano? Ma non per scherzo, proprio con un metro di lingua! Almeno dovevano metterci il bollino rosso. Io avevo lì i bambini.»
«Cosa gli hai detto?»
«È stata dura, gli ho spiegato delle cellule.»
«Le cellule?»
«Eh, che alcuni uomini nascono con più cellule femminili e alcune donne con più cellule maschili.»
«A proposito: avete sentito di quel Rave Party?»
«Lo fanno tutti gli anni! Ci sono certe facce...»
«Guarda, se mio figlio diventa come quelli lì...»
«Non so se sia preferibile sballato o culo...»
«Ah, no, piuttosto che drogato meglio finocchio! Però, dopo tanta fatica che delusione sarebbe comunque.»
«Adesso ci sarà ‘sto referendum [1]. Avete deciso cosa votare?»
«No, perché non ho ancora capito nulla.»
«Io voto no.»
«Perché?»
«Non lo so, ma mi sembra meglio. E poi non c’entra anche il fatto che vogliono tassare i BOT e CCT?»
«Ma va, è la questione che diventiamo come la Svizzera, però io voglio capire: se poi vado in un ospedale in Lombardia devo pagare?»
«Ma guarda, qui nessuno spiega niente, io però voto sì, o magari chiedo a mia nonna. Lei compra La Stampa, magari lì c’è scritto qualcosa...»

Elena non riusciva a credere alle sue orecchie. Se quelle donne, presumibilmente scelte tra altre anche per il buon livello culturale, erano capaci di un tale effluvio di trivialità e scempiaggini di fronte a una perfetta estranea, già alle nove del mattino, non c’era da dubitare che pensassero e si esprimessero in quel modo sempre, ovunque e con chiunque. Possibile che non si rendessero conto, che non si vergognassero neanche un po’? E come sopravvivergli? Come fare a sopportarle tutto il giorno? Per non ascoltarle alzò leggermente il volume di una radiolina e cercò di concentrarsi sul lavoro.

 

 

Arrivò l’ora di pranzo ed Elena fu invitata ad andare in un bar convenzionato in cui solevano recarsi. Ne avrebbe volentieri fatto a meno, ma dal momento che per un tempo che già le sembrava infinito sarebbero state le sue colleghe, pensò di dover almeno tentare una qualche forma di socializzazione.

Lucia era una donna sulla quarantina, truccatissima e vestita che sembrava un paralume barocco. Elisabetta e Michela avevano superato i trent’anni ed erano agghindate come se andassero a un ballo di paese. Simona e Francesca, apparentemente sotto i trenta, vestivano piuttosto sportive anche se con scarsissimo gusto e pessimi risultati. Elena, accanto a loro, semplicemente non aveva alcun senso.

Giunte nel locale, assediarono un tavolo già occupato e infine lo espropriarono senza nemmeno dare il tempo di liberarlo e pulirlo. Ordinarono e nell’attesa, Simona finse di interessarsi a Elena. Le chiese quanti anni avesse e come trovava il lavoro, ma prima che potesse risponderle diede una gomitata a Lucia indicandole una collega entrata in quel momento: «Dai, non mi dire che è bella, eppure becca da morire!»
«Già, ha pure due figli e suo marito è un figo della madonna.»
«Scoperà bene...»
«E li trova tutti belli, bravi, che s’innamorano.»
«Te l’ho detto, Lucy, scoperà bene - perché con due figli chi cazzo ti vuole?»
«Poi non è che dici ha due belle tette, un bel culo, niente.»
«Ma è bilancia.»
«Ahhh, ecco!»

Elena accolse l’arrivo della sua insalata come una liberazione e poiché non si parla a bocca piena, cominciò a mangiare ritenendosi sollevata dal dover prendere parte alla conversazione sperando che le altre seguissero il suo esempio, invece...

«E dove va tuo marito questa volta?»
«Parte a settembre.»
«Prova a indovinare.»
«Cuba?»
«No, Amsterdam.»
«Ah, ah, ah!»
«Puoi ingaggiare un investigatore, io lo farei, che cazzo!»
«Ma va, è un bravo ragazzo!»
«Può darsi, ma io non mi fido di nessuno che poi non c’entra, uno può farti le corna ovunque, anche sul divano di casa tua mentre sei fuori a fare la spesa.»
«Anch’io non mi fido, però cosa faccio, m’impicco tutte le volte che va via? Io dico solo una cosa: occhio per occhio, dente per dente!»
«Un conto è se non hai figli – ma se ce l’hai...»
«Che poi a me non me ne fregherebbe niente. Vuoi farlo? Fallo! Però voglio saperlo.»
«Io ti do tanta fiducia ma se sgarri sei morto. Vedi? È il mio brutto: sono troppo vendicativa. Ma lo sapete che ci sono dei clienti che insieme alla camera d’albergo ti regalano anche la coperta?»
«La coperta???»
«La ragazza per la notte.»
«A lui è capitato?»
«Sì, ma mi ha detto che l’ha mandata via.»
«Basta che non si becchi qualche malattia.»
«Accidenti, Michy, come sei combinata.»
«No, guarda, io mi fido.»
«Sono dell’idea che tutto viene a galla prima o poi, però è meglio prima che poi. Perché perdere tempo con un bastardo?»

Elena pensò con orrore alla prospettiva di doversele sorbire per il resto della sua vita e una cappa di fuoco le avvolse il cervello. Da quel giorno soffrì di feroci mal di testa e per quanti analgesici prendesse, non riuscì più a liberarsene.

 

 

Qualche settimana dopo, un’amica, certa della sua felicità, decise di invitarla a cena per festeggiare il grande evento: trovare un lavoro ben retribuito, in un’azienda solida e importante, con la possibilità di essere assunti a tempo indeterminato, non era una cosa da poco. Elena, seppur sfinita e di pessimo umore, accettò l’invito. Le raccontò quello che era costretta ad ascoltare ogni santo giorno, del fatto che non riuscisse ad avere per quelle persone alcuna stima, simpatia, comprensione. Era delusissima. Le avevano prospettato un lavoro d’ufficio e invece attaccava cartellini, non aveva nemmeno un posto assegnato solo a lei, da tenere ordinato, da personalizzare, in cui riporre le sue cose. La mattina arrivava e si sedeva dove capitava, cambiavano le facce, ma i discorsi erano più o meno gli stessi, invariabilmente assurdi, insensati, insopportabili. Si sentiva in colpa. C’era così tanta gente in giro che diventava pazza per mettere insieme due spiccioli, costretta a fare lavori pesanti, sottopagati. Alcune sue amiche si erano laureate da anni, avevano famiglia, eppure per sopravvivere erano ancora costrette a farsi sfruttare nei call-center, a distribuire volantini - e lei si lamentava, aveva la faccia tosta di sentirsi uno schifo.
«Se penso che domani devo tornarci mi sento male.»
«Guarda che è così dappertutto, dovresti sentire quello che dicono i miei colleghi in ufficio! E poi ci si chiede perché l’Italia non sta facendo un solo passo avanti, perché abbiamo questa classe politica ad amministrarci. Magari in certi ambienti, a certi livelli, non c’è tutta questa volgarità, ma non credere che la sostanza sia diversa, che ci sia maggiore cultura, consapevolezza, moralità. Ricordi lo sciopero indetto due mesi fa contro il piano di rilancio industriale che prevede la chiusura degli impianti locali per trasferirli all’estero? Gli impiegati del mio ufficio erano imbufaliti contro gli operai che gli chiedevano di partecipare allo sciopero, di appoggiare la protesta. Comunisti di merda, maledetto sindacato – dicevano. Come se non si rendessero conto che se la fabbrica chiude vanno a casa anche loro! Si credono una casta, migliori degli altri solo perché non si sporcano le mani nelle officine, perché sono pagati meglio e possono andare in ferie dove gli operai non andranno mai. Sono solo dei pericolosi coglioni, dei vigliacchi, dei cerebrolesi. Se gli mettessero in mano un fucile e gli ordinassero di sparare, lo farebbero. Meglio servi del padrone che perdenti.»
«Cosa devo fare?»
«Ascolta la musica con gli auricolari e goditi gli aspetti positivi: lo stipendio, l’orario che ti lascia molto tempo libero, il fatto che non ti spezzi le ossa e uscita da lì non devi portarti il lavoro a casa. E poi, scusa, mica è una condanna a morte – puoi sempre cercare qualcos’altro, con calma.»

 

 

Un’altra giornata di lavoro. Elena salutò le colleghe più cordialmente che poteva e prese posto.

Aveva trascorso la domenica dai genitori i quali, ormai insofferenti ai suoi racconti e alle sue quotidiane lamentele, l’avevano aspramente rimproverata: «C’è gente che pagherebbe per essere al posto tuo, per avere la metà di quello che hai tu!»
«Mi hanno presa in giro, papà. Avevano detto che dopo tre mesi sarei stata assunta, invece che fanno? Siccome ci sono le ferie che guarda caso cominciano quando scade il mio contratto, mi licenziano lasciandomi senza stipendio per un mese e poi a settembre mi rinnovano il contratto, altri tre mesi con l’agenzia interinale...»
«Ma insomma, Elena, possibile che tu non sia mai contenta? Sfruttano la normativa, è normale! E poi, scusa, non hai detto che lì non ci vuoi stare? Di che ti lamenti?»
«Fai male a cercare un altro lavoro, Elena,» - s’intromise sua madre - «un’occasione così capita solo una volta nella vita. La parrucchiera mi ha detto che conosce delle persone che ci lavorano da un bel po’, che si sono sistemate davvero bene. Mi ha assicurato che con il contratto a tempo indeterminato guadagnerai di più: tredicesima, quattordicesima, ferie, tutto secondo le regole – sono pagatori puntuali. E poi è un’azienda in salute, non ti licenzieranno mai senza motivo!»
«Ma credi che le aziende oggi chiudano perché vanno male? Che mettano a casa la gente perché non sanno come pagarla?»
«Lo so, lo so – sempre a buttarla in politica te e tuo padre!»

La discussione era poi degenerata. Difficile comprendere la sua insofferenza, accettarla. Elena soffriva molto le incomprensioni dei genitori dai quali si aspettava sostegno incondizionato, identità di vedute – dopo ogni litigio si sentiva depressa, tormentata. Voleva che fossero fieri di lei, voleva accontentarli – ma davvero a volte non poteva farlo. Tuttavia, decise di provarci – di fare uno sforzo.

 

 

«Cosa bisogna fare per diventare un diplomatico?»
«Bisogna farselo mettere in culo da un prete!»
«E noi andiamo a votare, che schifo! Ma sì, dai, votiamo quello lì che magari è un po’ meno figlio di puttana di quell’altro! Mi viene da cagare. Guarda, io non andrei mai a votare, ma ci vado.»
«Io sono rossa come il fuoco, ma a me come politico piaceva Almirante, anche Fini mi piace, è proprio un bell’uomo.»
«Com’è andato il fine settimana?» - le interruppe Elena, tanto per dare un segno della sua disponibilità a entrare a far parte del gruppo, sperando soprattutto di distrarle da quei temi veramente troppo al di sopra delle loro quoziente intellettivo.
«Sabato sera sono uscita con il Gianni, abbiamo litigato perché sono isterica. Lui ha tirato fuori la pistola e ha detto: Vedi che non la devo portare? Prima o poi ti ammazzo
«Ricordati che è Toro, Simo.»
«Gli ho detto: Ma che figura, tutta la gente alla finestra!»
«E dai che alla fine avete fatto pace come sempre!»
«Sì, ma sono io che non sono normale – lui fa del suo meglio, gli va tutto bene.»
«Io ho preso un film a noleggio, C’è posta per te, carino.»
«Ma di che segno è Meg Ryan?»
«Boh?»
«Secondo me è cancro.»
«Non so, mi pare che sia di un segno che non mi piace.»
«Pesci, mi sembra. I pesci sono gente opportunista, vanno dove tira il vento – io invece vado dove c’è il cazzo.»
«Forse bilancia.»
«O sagittario. Tu nota la donna sagittario: è fredda, non ha amiche, è intelligentissima ma per lei conta solo il suo uomo.»
«Ma sai che è vero? Adesso che ci penso non ho nemmeno un’amica del sagittario.»
«Neanche io in effetti.»
«Guardate, sono brave, ma vivono per un uomo e basta, non vanno neanche in palestra o a nuoto. Sono vuote, non hanno niente dentro»
«Ma dai...»
«Fidati, io le caratteristiche dei segni le percepisco.»
«Veramente un’amica sagittario ce l’ho, fa l’assistente sociale. La conosci, no?»
«Dipende perché fai le cose. C’è gente che le fa per espiare delle colpe o per farsi notare, poi, sai, questa è la mia opinione.»
«Suo marito è acquario.»
«Un porco allucinante.»

Elena capì che non poteva farcela, si mise gli auricolari e cominciò ad attaccare i suoi cartellini sognando di andarsene.

 

 

Trascorse le ferie in un continuo stato d’ansia, angoscia, dando fondo ai risparmi invero già assai modesti. Non voleva tornare in azienda, ma doveva pagare l’affitto, le spese della casa e dell’auto, mangiare – aveva bisogno di quel dannato stipendio. Si fece forza, si turò il naso e decise di rientrare.

Ritrovarsi con le colleghe ancor più scollacciate per mettere in mostra l’abbronzatura e ancor più chiacchierone di una ventina di giorni prima, le mandò immediatamente il morale sotto i piedi.

«Allora, ragazze, novità?»
«Io ho fatto per una settimana la Baby Sitter al coniglio della mia amica, è terribile perché non ti ascolta!»
«Ah, ah, ah! Ha le orecchie lunghe ma non sente!»
«Una volta avevo un appuntamento e l’ho dovuto disdire per colpa sua, era anche con un uomo, l’appuntamento – poi ho telefonato a un’amica per sapere come dovevo fare e lei mi ha detto: Chiudilo in bagno.»
«Chi, il tipo?»
«Ma no, scema, il coniglio! Quando sono tornata si era mangiato tutto: gli asciugamani, il sapone, persino il coperchio del cesso!»
«Se vai avanti a parlarne così lo facciamo arrosto questo coniglio!»
«I cani sono belli ma anche i conigli, sono solo più difficili da gestire.»
«I gatti sono infidi, non ti puoi fidare, non sai mai cosa pensano.»
«Perché, quelli che hanno i pesci rossi, le tartarughe, i canarini! Vogliamo parlarne?»
«Guarda, al mattino davanti a casa mia c’è un casino... Quei maledetti uccelli che iniziano a cinguettare, non li sopporto!»

Sì, erano decisamente in forma – purtroppo.

Durante la pausa pranzo si unì a loro un collega, un panzone tremendo che passava le sue giornate a intromettersi ovunque.

«Ragazze, c’è un giro tale di prostituzione, tra calcio e spettacolo è uno schifo.»
«Tutto per questo nuovo governo di merda, si stava così bene prima.»
«Visto che bella roba l’indulto? Appena usciti dal carcere fanno già dei danni, poi se mi beccano senza cintura mi rompono i coglioni.»
«Che poi se esci e non hai nessuno è ovvio che vai a rubare.»
«All’estero c’è la pena di morte, qua li lasciamo liberi.»
«Vedi questi con la barba e i sacchi di plastica... Pensa però come sono felici...»
«Dai, Betty, se volevi qualcuno che ti violentasse...»
«Stai brava, sfigata come sono l’ultima volta che c’era un maniaco in giro mi sono rotta un braccio e non potevo uscire!»
«E tu? Sempre zitta, eh? Un’acqua cheta...» - risero tutte di gusto, annuendo. Elena dovette sforzarsi per mantenere il controllo - «Sei sposata? Ce l’hai il ragazzo? Ho un amico bravissimo, simpatico, sono sicuro che sarebbe la persona giusta per te. Se hai un’amica carina potremo organizzare un’uscita a quattro.»
«No, grazie – non m’interessa.»
«Perché, sei lesbica?»

Le colleghe risero ancora. Elena lo guardò incredula. Quel cretino non sapeva nulla di lei, come si permetteva? Tale fu la percezione di subire una violenza che non riuscì a reagire, le mancarono le parole. Finì di mangiare in fretta per andarsene prima possibile, ma Simona e Francesca decisero di prendere il caffè in ufficio così la seguirono alla cassa. Mentre erano lì che aspettavano il loro turno gli passò accanto uno degli addetti al magazzino. «Deve avere un bel cazzo quello lì, almeno così mi hanno detto. La Terry gli andava dietro e lui l’ha rifiutata. Almeno poteva scoparsela...»
«Che figo, però.»

 

 

Il giorno dopo riprese la gragnola di corbellerie.

«Non è possibile che mio figlio abbia di nuovo la febbre, secondo me hanno sparato qualcosa nell’aria perché non è possibile che con una settimana di antibiotico abbia ancora la febbre. Una volta, con un cucchiaio di antibiotico eri a posto tutto l’anno!»
«Ma guarda che è nel cibo.»
«Dappertutto, secondo me fanno gli esperimenti.»
«Anche ‘sta roba che non nascono più figli...»
«Ci credo che poi i matrimoni vanno a rotoli.»
«Che poi, secondo me, il divorzio non è un gran trauma se ormai non te ne frega più niente.»
«Può esserlo per i figli. L’amica di mia figlia se la contendono i genitori e lei se n’approfitta, li ricatta tutti e due.»
«E poi a vent’anni si trova incinta, non sa di chi è e avanti così, Acqua, Padre, che il convento brucia
«Certo che è dura fare i genitori.»
«Eh, anche fare i figli.»
«La pianta si tira su da piccola!»
«Ma dipende anche da che figlio ti ritrovi.»
«E io lo metto nel freezer, mica possono averle tutte vinte! Mio padre me le ha suonate una volta sola e mi è bastato!»
«Anche a me.»
«A me pure.»
«Invece adesso ti rispondono, offendono, fanno i padroni.»
«Perché hanno troppo. Una volta avevamo solo un paio di scarpe.»
«Sai cosa diceva mia nonna a mio padre? Se tu avessi allevato maiali invece che figlie, a Natale almeno ti saresti leccato i baffi! Mia nonna era un despota, non mi ricordo una sua carezza, sembrava che perché aveva fatto la guerra lei dovessimo farla tutti. Le eravamo così affezionati...»

 

 

Elena decise di rischiare. Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di un’altra settimana in quel reparto psichiatrico.

Era una lavoratrice interinale, con contratto a termine. Non aveva tutele, diritti, ma nemmeno obblighi. Alle nove in punto comunicò alla responsabile dell’ufficio che dal giorno successivo non sarebbe tornata al lavoro.
«Hai trovato qualcos’altro?» - le chiese Francesca.
«No.»
Pensò che mentisse, o che avesse un ben grave motivo per rinunciare a un posto sicuro, ambito, oppure che fosse pazza, ma non le interessò indagare: «Grazie di aver trascorso con noi questo breve tratto di strada. Nella vita ricordati dello stralcio di umanità che hai incontrato qui.»

Come dimenticarlo.

 

(I dialoghi di questo racconto non sono frutto d'immaginazione)

 

[1] Referendum del Giugno 2006 sulle modifiche alla costituzione.

 

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