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Aggiornato Domenica 14-Mag-2023

 

 

Mila si era più volte chiesta per quale ragione una persona dovrebbe seriamente credere di essere necessaria, indispensabile al punto da difendere la propria vita e le proprie scelte come se da queste dipendessero le sorti dell’intero genere umano. Pensava a certa gentaccia che sarebbe stata capace di fare qualunque cosa per salvarsi la pelle o garantirsi un guadagno. Persone oscene, insensate, inutili, dannose, ma anche miti e intelligenti che pur lo farebbero, quasi senza esitazione, quasi senza rimorso.
«Istinto, Mila - è più forte di noi. La sopravvivenza è l’imperativo biologico su cui, poi, abbiamo costruito l’intera nostra cultura. Sopravvivere, riprodurci e prosperare - con qualunque mezzo, a qualunque costo. Ognun per sé e Dio per tutti.»
«Non ha alcun senso, Riccardo, in questo modo prevale la legge della giungla - forza e quantità a detrimento dell’evoluzione.»
«La selezione naturale non fa sconti.»
«Naturale è morire cadendo in un crepaccio, di vecchiaia, perché il cuore si ferma, da solo. Cosa c’è di naturale in uno stronzo che per arricchirsi, schiacciarti come un verme, per restare in vita la toglie a te? Cosa c’è di naturale nelle malattie, nelle ingiustizie e nelle sofferenze causate dall’uomo?»
Riccardo non ebbe voglia di risponderle, ma in cuor suo era convinto che, essendo gli esseri umani parte di un disegno, ogni loro azione, per quanto apparentemente irragionevole e distruttiva, lo ricalcasse. Poi, a bruciapelo: «Pensi che per salvare la vita di qualcuno rinunceresti alla tua? Immagina di essere un soldato: all’improvviso ti trovi di fronte il nemico, lui è nel tuo mirino e tu sei nel suo - abbasseresti il fucile per farti ammazzare?»
«Se c’è un istinto che spinge a uccidere, ce n’è anche uno che spinge a non farlo. Il problema non è l’istinto, il problema è la ragione: se ti metti a pensare, nel 99,9% dei casi non rischi la vita, nemmeno se hai la certezza di sopravvivere. Allora, come vedi, non c’è nulla di buono nelle azioni che si compiono a danno degli altri, c’è sempre calcolo e dolo, a nostro personale, esclusivo vantaggio. Girala come ti pare, Riccardo, la nostra specie fa schifo.» - e si alzò dal tavolo, stizzita, cominciando a sparecchiare.
Riccardo tirò fuori i sigari cubani chiedendole un posacenere. «A volte il tuo pessimismo è deprimente, Mila.».
«E tu sei il solito scansafatiche. Non è che potresti darmi una mano? Giulia e Federico saranno qui a momenti.»
«A proposito: chissà se hanno accettato l’incarico...»
«Non infilare il dito nella piaga, ti prego, io questa cosa non riesco a mandarla giù.»
«Qualcuno lo farebbe comunque, tanto vale che ce ne occupiamo noi.»
«È come la storia degli scrittori antiberlusconiani che pubblicano con Mondadori, è una roba che mi fa impazzire.»
«Senti, va bene fare i puristi, ma qui sono in ballo parecchi soldi e con la crisi che c’è non è il caso di fare gli schizzinosi.»
Mila smise di sciacquare i piatti, si girò e lo guardò dritto negli occhi: «Senti tu, Riccardo, hai presente quella cosa che si chiama coerenza? E poi, secondo te, per quale ragione ce l’hanno chiesto?»
«Perché siamo bravi?»
«Perché se accettiamo non potremo lavorare per gli altri, scemo! Hanno fatto una proposta difficile da rifiutare e loro rischiano di cascarci - si chiama scendere a patti con il diavolo e quello, prima o poi, presenta il conto.»
«Uhm, mi sa che stasera si festeggia.»
Mila lo guardò sconsolata mentre lui già preparava i calici per il brindisi.

Suonò il campanello e Riccardo corse alla porta, fiducioso. Giulia e Federico entrarono, festosi, mostrando una bottiglia di Champagne. Mila capì che aveva sperato inutilmente in un ripensamento. Era evidente che avessero firmato il contratto. Non le riusciva di sorridere, nemmeno per finta. Sapere che avrebbe dovuto occuparsi della campagna elettorale del centrodestra alle prossime amministrative, la faceva star male, profondamente. Avrebbe dovuto studiare slogan quanto più populisti poteva, avrebbe dovuto impiegare tutta l’esperienza e la professionalità acquisita per ingannare gli elettori - in definitiva, per fottere se stessa. Le si torcevano le budella, ma lei non era il capo, era solo una brava pubblicitaria. I titolari dell’agenzia erano Giulia e Federico: poco creativi, ma abili con le pubbliche relazioni e buoni amministratori.

Mila, Riccardo, Giulia e Federico, si erano conosciuti all’Università, venti anni prima, e l’idea di aprire un’agenzia pubblicitaria era stata sua, ma poiché non aveva una lira, non poté entrare in società. In seguito, quando l’attività fu ben avviata, l’avevano assunta insieme a Riccardo, assicurando a entrambi uno stipendio minimo, più un’onesta percentuale sulle commesse andate a buon fine. Erano amici prima ancora che colleghi. Avevano condiviso le lotte studentesche, ogni avventura umana e professionale. La loro era una famiglia allargata, collaborativa, pacifica, tollerante e giocosa. Mai una discussione, mai una scelta che non fosse condivisa, ma quella proposta indecente, così subdola e allettante, aveva gettato il seme della discordia e alla fine, per la prima volta, Giulia e Federico si erano avvalsi del diritto di dire l’ultima, definitiva parola. Mila aveva ingoiato il rospo, ma non riusciva più a fidarsi. Ora, guardandoli ridere, lieti del colpaccio messo a segno, si chiedeva chi fossero davvero: avevano tradito per trenta denari, di cos’altro sarebbero stati capaci?

Si sistemarono in salotto, stapparono lo Champagne e brindarono. Riccardo era euforico e strafottente: «Ma smettila, Mila, non si sputa sui soldi, specie se sono tanti e guadagnati facilmente! Con ‘sti stronzi basta spararle grosse. Pensiamo a qualcosa che ci faccia accapponare la pelle e proponiamola - sarà perfetta, avrà un successone!».
«Appunto, è tanto difficile da capire?» - sussurrò lei, ma i tre erano già così impegnati a coniare slogan uno peggiore dell’altro che non si resero minimamente conto del suo stato emotivo, e forse nemmeno gl’importava.

Quando arrivò l’ora dei saluti, Federico, avvicinandosi per baciarla, le disse: «Coraggio, Mila, non prendertela. Sono sicuro che alla fine apprezzerai la nostra scelta. Vedrai, ti passerà.»
«Oh, Federico, certo che passerà, tutto passa, ma io non ti seguirò all’inferno.»
«Via, che discorsi!» - intervenne Giulia - «Andiamo a nanna, và, che domani sarà una giornata di duro lavoro.» - e risero, dandosi delle gran pacche sulle spalle.
La porta si chiuse e finalmente vi fu silenzio.

Mila rimase qualche minuto immobile, appoggiata contro una parete, guardando il pavimento. Vent’anni, buttati via. Il mutuo da pagare. L’età che avanza. La solitudine, ora, totale - irrimediabile. La sua bella e chiassosa famiglia, il suo baluardo, i suoi amici - niente esisteva più: tutto sparito, evaporato. Se n’erano andati senza rimpianti, senza riguardo, senza scusarsi, senza nemmeno voltarsi indietro per lanciarle uno sguardo sprezzante o pietoso. Non le avevano dato scelta: o con loro, o senza.

Senza - pensò.

Raccolse le forze, si tirò su e arrancando raggiunse lo studio. Improvvisamente si rese conto di non sapere come si scrive una lettera di dimissioni e, piangendo, scoppiò a ridere.

 

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