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Aggiornato Domenica 14-Mag-2023

 

 

 

Fermarsi a guardare le nuvole che corrono nel cielo, le tortore volare rincorse dal vento, le ombre riflesse sull’asfalto bagnato, i mattoni e le pietre che raccontano la vita trascorsa invano. Fermarsi ad ascoltare i propri passi, sempre più lenti e stanchi. In mezzo a una moltitudine di corpi e storie ritrovarsi soli, dimenticati, inesistenti.

Cosa aveva vissuto a fare? In cambio di cosa aveva barattato la sua giovinezza, i suoi sogni? A cosa gli serviva, ora, tutto quello che aveva imparato, tutto quello che aveva vissuto?

Carlo sbriciolò ancora un po’ di pane rinsecchito. Le tortore tornarono ad accalcarsi ai suoi piedi, frenetiche e prepotenti, disturbate solo dal passaggio distratto dei frequentatori del parco che passeggiavano ignari, perlopiù chini sui loro telefoni cellulari. Sospirò – una, due, tre volte, e ad ogni sospiro pareva rimpicciolirsi, la testa spariva sempre più nelle spalle.

Vecchio. Era diventato vecchio. All’improvviso. Se solo se ne fosse accorto avrebbe avuto il tempo di abituarsi, di correre in qualche modo ai ripari, non avrebbe buttato via i suoi giorni – come spesso aveva fatto inseguendo chimere -, non avrebbe sprecato occasioni quasi credesse d’essere immortale, quasi credesse che la giovinezza, la forza, la bellezza non lo avrebbero mai abbandonato. Oh, sì, aveva visto i suoi amici rimbambire, avvizzire, ma non aveva pensato, mai, neppure per un solo istante, che quella stessa, iniqua sorte, lo avrebbe raggiunto e punito. La vecchiaia, la solitudine senza rimedio che spesso l’accompagna, la perdita di controllo sull’esistenza, l’istupidimento, non sono forse un castigo, una punizione inflitta per colpe non sempre commesse? Non vi è qualcosa di enormemente ingiusto e crudele nel preservare la vita ad ogni costo, nel restare vivi in un corpo che di quella vita non può più godere, che la vita rifugge con compatimento o, peggio, derisione, repulsione?

I pensieri si erano fatti cupi ancor più del solito e Carlo era diventato minuscolo sul serio, tutto rannicchiato, inghiottito dall’ombra nera della sua figura.

Se le persone che gli passavano accanto avessero alzato lo sguardo, si fossero interessate a ciò che gli accadeva intorno, avrebbero assistito ad un fatto straordinario: avrebbero visto un fagotto di lana scura da cui uscivano due mani bianche intente a far briciole, quasi scintillanti al sole, staccarsi, allontanarsi dalle maniche, fendere l’aria con pochi, armoniosi movimenti, inforcare un colpo di vento, distendersi su una corrente ascensionale e in un lampo raggiungere le nuvole. Avrebbero visto una festa di ali e dita sollevarsi da terra, sparire oltre gli alberi, conquistare il cielo, finalmente libere. Invece, i pochi che si distrassero dai propri pensieri, dai propri telefoni, videro solo un cappotto abbandonato su una panchina.

 

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