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Aggiornato Domenica 14-Mag-2023

 

 

 

Piangerei. Se non mi sentissi inadeguato, piangerei. Irrazionale, anche, sì. Reprimo le lacrime una decina di volte al giorno: un pianto ad ogni emozione. Sembrerebbe una media piuttosto alta, ma emozionarsi solo dieci volte in ventiquattro ore non è molto, mi pare. Significa che la vita diserta se stessa la maggior parte del tempo. La vita strazia, come si fa a non piangere? Lacrime proprio, non semplice commozione, quella cosa un tantino formale che si può controllare, talvolta esibire senza vergogna. Lacrime, a dirotto. Una musica, una luce, un gesto inatteso, una frase buttata lì, un profumo che viene da lontano e si chiude la gola, gli occhi si riempiono di lacrime e comincia la lotta per ricacciarle indietro, nasconderle. Solo a casa, da solo, mi concedo la libertà di versarne un paio. Non più di due, per carità.

Ho una naturale predisposizione per provare emozioni a vanvera per cose senza importanza che di norma passano totalmente inosservate o al massimo strappano un sorriso distratto: un ramo che punta nella direzione opposta degli altri, ad esempio - poi il vento lo spezza o un giardiniere lo recide, e non riesco più a guardare l’albero senza provare tristezza, rammentare il ramo, la sua fine, e dolermene. Non è una metafora. Così ricordo episodi e dettagli apparentemente insignificanti che si fissano nel mio cervello divenendo perenni, sempre pronti a riaffiorare, colpire. Mi prende allora una specie di malinconia e tra lacrime e sospiri faccio quello che posso per non svelare le mie carni lacere, palpitanti, doloranti.

Sono sempre stato fuori posto, fuori luogo, defilato per risparmiarmi almeno il sadismo della compassione, delle dita che rimestano nelle piaghe. Di solito declino gli inviti ad eventi pubblici perché non sopporto più di sentirmi estraneo ovunque vada, ovunque sia, ma ieri non l’ho fatto…

Più che a un evento, mi sono ritrovato ad una festicciola tra amici. Ho guardato quell’umanità che sembrava uscita dagli anni settanta stentando a credere ai miei occhi. Cos’è accaduto? Com’è potuto accadere? Quell’umanità che mi pareva vecchia - e vecchia era, è, senza dubbio -, mi è coetanea! Guardando lei ho visto me: non un ragazzo, come mi sento – ho visto ciò che sono, un sessantenne, e lo stupore, prima, lo spavento, poi, mi hanno raggelato. Eccoli, dunque, i miei più o meno coetanei: vivono comodi tra pari, sparano cazzate sui social mentre comprano cibo biologico e programmano le prossime vacanze. Ricordo bene che dicevano di voler cambiare il mondo, fare la rivoluzione, e avrebbero potuto perché ne avevano i mezzi e l’opportunità, invece… eccoli, coi denti guasti per il troppo fumare, inconcludenti e deludenti come a venti, trenta, quaranta, cinquanta anni. Alla fine, a parte l’età, solo una cosa ci accomuna: siamo relitti alla deriva dentro corpi in scadenza che prima o poi si libereranno di noi.

Piangerei e in effetti piango spesso. Non stasera, però - nemmeno una lacrimuccia raminga, sbucata da chissà dove, chissà perché, una lacrima da starnuto, da irritazione agli occhi, da sbadiglio. Nulla. Si vede che ho esaurito le dieci frignate quotidiane – e va bene così.

 

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